venerdì 7 giugno 2013

i beatles a milano


 
Le foto dell'album


























Il concerto dei Beatles a Milano. Hanno suonato al Velodromo Vigorelli con Peppino di Capri
Mezzanotte, i Beatles a Milano
«Che delusione quest’arrivo dei Beatles a Milano: proprio non valeva la pena che si mobilitassero tanti fanatici per tributare ai cavalieri dell’urlo il primo applauso italiano. Saranno state duemila persone, uomini e donne, tutti molto giovani, zazzeruti, accaldati, frenetici e pronti alla bagarre per stringersi intorno ai loro idoli. I Beatles li hanno giocati con un trucchetto banale (...) Il treno da Lione, sul quale erano attesi gli “scarafaggi”, era atteso al marciapiede 16 per le 23.30. Poco dopo mezzanotte, l’altoparlante ha avvertito che il Lione era arrivato al marciapiede 3. La folla ha avuto un sussulto, c’è stato un gran correre di marciapiede in marciapiede, qualcuno è caduto, qualche altro è finito dritto filato al commissariato: tutto inutile.

Quando i primi hanno raggiunto il traguardo, i Beatles avevano fatto perdere le tracce. Aiutati dalla polizia, se l’erano data a gambe giù per lo scalo F che è un’uscita secondaria sul lato destro. Era troppo tardi per tentare ulteriori inseguimenti». I primi drappelli di fan sono arrivati alle 22, mezz’ora dopo erano diventati un’esercito. «Striscioni colorati, grida, parrucche alla paggio, magliette colorate, pantaloni stretti, gonne corte. Un’umanità scalmanata, facile ad accendersi, esibizionista, incline a manifestare il proprio entusiasmo purché i flashes dei fotografi fossero disponibili. Alle 23.15 sono saltati i cordoni della polizia e la massa è straripata sui marciapiedi. Alle 23.20 la polizia ha organizzato il contrattacco e sono volate le prime botte.  Alle 23.30  la marea era costretta a ritirarsi. Giù, lungo la scalinata e sulla piazza, la pressione veniva domata con i manganelli». [Alfonso Madeo, Cds 24/6/1965]
Ogni “Scarafaggio” vale due miliardi
«Gli “Scarafaggi” sono quotati 2 miliardi a testa (20 milioni di dischi in 5 anni). (...) Viaggiano in jet personale, di solito ognuno col proprio segretario, la moglie o la ragazza, strumenti e contratti. Ormai sono un’industria». [Madeo, Cds 24/6/1965]
«Più importante di noi c’è solo la Regina»
Conferenza stampa a mezzogiorno in un albergo del centro. «Ecco un campionario di domande e risposte. Serviranno a far capire chi sono questi Beatles».
Vi considerate ragazzi felici?«Molto felici».
Cos’altro vi aspettate dalla vita?«La possibilità di dormire molto».
Se vi accorgeste di perdere i capelli?«Ricorreremmo alle parrucche».
Per quanto tempo prevedete di stare sulla cresta dell’onda?«Finché dura. Durerà parecchio».
Pensate che esista qualcuno più grande o più importante di voi?«La regina».
Conoscete le poesie di Evtuschenko?«Chi è? »
Ammirate Shakespeare almeno?«Certo, è inglese. Però lui non ha venduto tanti dischi». [Madeo, Cds 25/6/1965]
Due concerti, 58 milioni d’incasso
I Beatles arrivano al Velodromo Vigorelli a bordo di un camioncino rinforzato all’interno da stanghe di ferro massiccio. Due le esibizioni. La prima di pomeriggio, alle 17. Fa un gran caldo, intorno ai 37 gradi. Al primo concerto assistono 7 mila persone, 20 mila a quello delle 21. In tutto, novantasei minuti di esibizione. Costo dei biglietti: da 750 a 3.000 lire (un giornale costa 50 lire, un caffè 60, per comprare un lp ne occorrono 1.800). Incasso: 18 milioni nel pomeriggio più 40 la sera. [Madeo, Cds 25/6/1965, Rizza 2006]
Lucio Flauto presenta «Peppino di Caprera»
Presenta i concerti Lucio Flauto, che nel frastuono «non riesce a piazzare neppure una barzelletta». Prima dei Beatles si esibiscono alcuni artisti italiani: Fausto Leali e i Novelty, Maurizio e i New Dada, ecc. Quando tocca a Peppino di Capri con i suoi Rockets, Flauto ha l’occasione «per sfornare una freddura a base di Peppino di Caprera: una cosuccia proprio nuova, originale». [Alfonso Madeo, Corriere della sera 25/6/1965]
Whisky all’ora di merenda
«E si comincia, ore 16.20. La prima parte dello spettacolo prevede la sfilata di orchestre e urlatori a ritmo incalzante». «I Beatles aspettano in una stanza nei sotterranei del Vigorelli. Brindano con whisky puro, a quest’ora. È per vincere la sete, dicono. Gli chiedo se son preoccupati dato che è la prima volta che si presentano al pubblico italiano. Non sono preoccupati affatto, mi tranquillizzano. In effetti, se ne infischiano, è routine. Si divertono. D’altronde il contratto li vincola a esibirsi per un periodo molto limitato: da un minuto a quaranta minuti. Significa che se il pubblico non è di loro gradimento, dopo le prime note, hanno diritto di ritirarsi dal match e tanti saluti. A Milano, pomeriggio e sera, hanno tenuto il palcoscenico per il tempo massimo: sia motivo di generale compiacimento». [Madeo, Cds 25/6/1965]
Le ragazzine che ingoiano foto
Quando sul palco arrivano i Beatles, giacche attillate scure, camicie bianche coi collettoni, chitarre che luccicano al sole, dalla massa degli spettatori sale un urlo. Paul MacCartney, idolo delle tredicenni, dice «ciao» al microfono e questo fa impazzire di gioia le gradinate. «Strillano le ragazzine, dimenandosi come ossessi. Tutti in piedi sulle sedie. È un crescendo che mette i brividi. La polizia fa cordone, accorre dove può, calma, minaccia, picchia.

Tre ragazzine fanno a pezzi una fotografia dei ragazzi di Liverpool, ne ingoiano i frammenti. Una, lassù, è colpita dalla tarantola. Si grida, si balla e si grida. L’eccitazione sale e diventa follia collettiva: ammaccatura, bailamme, stordimento, convulsioni. Un gruppo di giovani si strappa la camicia di dosso. Una biondina si rotola su se stessa. Tutti scuotono la testa, agitano fazzoletti, battono le mani (...). La sera il fanatismo ha toccato vertici indescrivibili. Le più giovani hanno invocato il nome di Paul, il bellino. Una, in maglietta nera, è stata portata via perché in preda a crisi isterica. Moltissimi ragazzi si sono svestiti delle magliette per adoperarle a mulinello in segno di saluto agli idoli». [Madeo, Cds 25/6/1965]

«Per trentacinque minuti, quanto è durata l’esibizione, un fragore assordante, disumano, ininterrotto, ha coperto le voci e gli strumenti del quartetto, nonostante le decine e decine di amplificatori sparsi dappertutto. Tutti hanno visto i Beatles, nessuno li ha uditi. (... ) In mezzo a tanto fragore, i più composti erano proprio i Beatles. Imperterrito, uno di loro annunciava in italiano il prossimo pezzo e subito tutti insieme attaccavano qualcosa che probabilmente era una canzone magari anche bella, ma che le invocazioni a Ringo, o a Paul o a John, delle ragazze con il volto rigato di lacrime e le urla e gli applausi ritmati dei loro coetanei impedivano di seguire.
Nessuno ha udito le voci dei Beatles


Del resto, erano venuti apposta per gridare, per sfogarsi. Lo dicevano loro stessi: “Non importano le canzoni, per quelle abbiamo i dischi, c’interessa soltanto vedere i Beatles, non ascoltarli”. (... ) L’uragano si è scatenato con l’apparizione dei Beatles. A chiedere che cosa ci trovassero di tanto straordinario si ricevevano, accompagnate da un sorriso di compatimento, risposte come “Sono meravigliosi, divini, niente e nessuno li vale, in ogni campo”». [Sta. 25/6/1965]
«Fan tipo: ragazzina, poco intelligente»
Giudizio di un sociologo americano sull’ammiratrice tipo dei Beatles: «È una ragazza da 13 a 16 anni, di estrazione modesta, di razza bianca, di intelligenza inferiore alla media». [Sta. 25/6/1965]
Il bagno notturno di George Harrison
Verso le 19 di venerdì 25 giugno i Beatles, viaggiando su due auto, arrivano a Genova. «Hanno lasciato che quelle due o tre decine di fans in sosta permanente dinanzi all’albergo si decidessero a smobilitare, poi verso le due di notte sono usciti per la città; l’hanno girata in lungo e in largo, si sono fatti condurre nella zona alta per godere lo spettacolo del porto illuminato. Uno di essi si è fatto addirittura portare fin oltre Nervi, a Sori: qui ha raggiunto la riva del mare, si è spogliato e si è gettato in acqua. Era George Harrison». [R.B., Corriere della Sera 27/6/1965]
Nel pomeriggio, a vedere i Beatles, ci sono solo 3.500 genovesi
La comparsa dei Beatles a Genova ha fruttato 20-25 milioni lordi, contro i 67 dichiarati dall’impresario a Milano. «Il quartetto inglese ha bisogno, evidentemente, di un clima morale propizio, contagiato da un diffuso isterismo giovanile; mancando quel clima resta la sola curiosità, sollecitata dalla propaganda e resta il consueto entusiasmo per i cantanti in voga. La parte di punta, nello spettacolo, è affidata a poche centinaia di ragazzi più bollenti, che sfogano col pretesto dei Beatles esuberanti energie, comportandosi più o meno come ad una esibizione di Celentano o di altri urlatori nostrani. Gli urli acutissimi, gli accenni di deliquio non sono affatto mancati; ma sapevano di una recitazione appresa alla scuola di riviste e di film.

Nelle città che hanno masse più eterogenee, con più forte apporto della provincia, come Milano, i Beatles possono scatenare qualche tensione collettiva di tipo esotico. In una città come Genova si è rimasti ad episodi frammentari, ben controllati da uno spiegamento di forze quasi incredibile: mille uomini, fra agenti di polizia, carabinieri, pompieri, vigili urbani. Lo spettacolo pomeridiano è stato un netto insuccesso per quantità di pubblico: meno di 3500 persone nella tonda e immensa sala del Palazzo dello Sport, alla Fiera del Mare (oltre 20.000 posti). Il gran caldo, il mare calmissimo, hanno spinto i genovesi alle spiagge della Riviera, mettendo in ombra i Beatles e i cantanti italiani chiamati a far da cornice: Pino Donaggio, Fausto Leali, Peppino di Capri. Alla sera la situazione è cambiata: gran folla, circa 15 mila spettatori, con una certa quota di pubblico adulto ed elegante, incuriosito dall’attesa esplosione di una follia corale, suscitata da Ringo e compagni. L’esibizione dei Beatles, in abito nero con collettoni rosa, è stata brevissima: 35 minuti, come previsto dal contratto, che contemplava anche un minimo di soli 60 secondi nel caso di accoglienza fredda da parte del pubblico». [Mario Fazio, La Stampa 27/6/1965] «All’una di notte i Beatles hanno lasciato Genova diretti a Roma su un bireattore dell’Alitalia appositamente noleggiato, che li ha depositati a Fiumicino un’ora dopo, in modo da evitare scene al loro arrivo». [R.B., Corriere della Sera 27/6/1965]
L’arrivo dei Beatles a Fiumicino
I Beatles arrivano a Fiumicino all’alba di domenica 27 giugno. Ad aspettarli, quattro collegiali inglesi venuti a piedi da Roma e una decina di impiegate della Fao che sventolano fazzoletti gridando «hurrà!». Prima che scendano dall’aereo, il loro impresario Achter percorre da solo il breve tragitto dalla pista all’aeroporto, per essere certo che gli ammiratori siano saldamente trattenuti dalle forze dell’ordine. Quando si convince che è tutto a posto, dà il via e i quattro scendono. [Cds, 28/6/1965]

«Non facciamo colazione con uova di gabbiano»


Alcune delle domande fatte ai Beatles durante la conferenza stampa nell’hotel Parco dei principi alla presenza di giornalisti, cineoperatori e una trentina di fan molto composti ed emozionati. Un giudizio sull’esercito, la famiglia e la religione.
«Il primo non è divertente, la seconda è ok, la terza è ottima per chi ci crede».
È vero che mangiate uova di gabbiano per colazione?
«No, soltanto porridge».
C’è una donna al mondo che sarebbe capace di farvi tagliare i capelli?
«No». [Cds 28/6/1965]

Caldo asfissiante e amplificatori torturanti
Due le esibizioni nel teatro Adriano, una di pomeriggio, una di sera. «La platea di Roma non ha riservato ai quattro urlatori di Liverpool le accoglienze alle quali si sono assuefatti. Il caldo ha dominato le due rappresentazioni odierne, inoltre gli amplificatori erano troppo alti, addirittura torturanti, per un locale chiuso. È abbastanza assurdo che l’esibizione romana dei Beatles abbia avuto luogo non in uno stadio o in un velodromo ma in un cinema: le nostre organizzazioni sono sempre sommarie. Il pubblico comunque era folto e, per quanto riguarda la rappresentazione serale, includeva molti snob, qualche diva del cinema, parecchi “osservatori del costume”. C’erano vessilli e scritte di saluto». [C.L. Cds 28/6/1965]
Il teatro Adriano di pomeriggio era «mezzo vuoto»
«Ieri pomeriggio il Teatro Adriano presentava dei vuoti paurosi. Capace di tremila posti, ne risultavano occupati poco più della metà, compresi naturalmente i biglietti omaggio. E pensare che era stato richiesto il Palazzo dello Sport, con suoi diecimila e più posti. A tener lontana la folla devono aver contribuito anche i prezzi: variavano dalle quattro alle cinquemila lire per lo spettacolo pomeridiano e da cinque a settemila lire per quello serale. Le due gallerie, per le quali i prezzi erano leggermente inferiori, erano colme, ma di gente rimasta per tutto il tempo abbastanza composta. È stato in platea, fra un gruppo di una cinquantina di giovanotti e di ragazze, che si sono verificate scene di isterismo per tutto il tempo che i Beatles sono rimasti sulla scena: venti minuti, allo spettacolo pomeridiano, il tempo più breve che il celebre quartetto abbia dedicato ai suoi ammiratori italiani. Il servizio d’ordine predisposto fuori del teatro (mille agenti, idranti, una autoambulanza, camionette e transenne per trattenere la folla) è rimasto inoperoso; così all’interno, dove nonostante le urla ed i gesti dei più scalmanati, nessuno ha sfasciato nulla». [g. fr. Sta 25/6/1965]
A Salisburgo preferiscono Mozart
A Salisburgo i Beatles sono stati accolti con un cartello con su scritto: «Questa è la patria di Mozart, non vogliamo animali, qui». [C.L. CdS 28/6/1965]

Per Pasolini gli “scarafaggi” «sono privi di fascino»


Opinioni di alcuni personaggi famosi sui Beatles. Pier Paolo Pasolini: «Non mi so spiegare il successo dei Beatles, questi quattro giovanotti completamente privi di fascino che suonano una musica bellina». Franca Valeri: «Per me il trionfo dei Beatles è un mistero, sebbene sia convinta che chi riesce ad emergere deve avere le carte in regola per farlo». Milva: «Non riesco a rendermi conto della loro bravura, eppure c’è gente che impazzisce per loro». Strehler: «Questi Beatles non mi dicono molto, ma ci deve essere una ragione se vanno tanto forte». [C.L. CdS 28/6/1965]
Nico Fidenco: «Sono i ragazzi della via Paal»
«Trascurando il pensiero di Pasolini o, poniamo, dello psicanalista Servadio, i quali non hanno nessuna esperienza di chitarra elettrica, ascoltiamo l’urlatore Little Tony il cui vero nome è Ciacci e la cui torreggiante chioma è tale da salvarlo da ogni complesso di inferiorità. “All’inizio della strada trionfale percorsa dai Beatles c’è, a mio parere, un segreto di tempestività. Fra il’61 e il ’62 essi imposero la moda del gruppo canoro, proprio mentre era fortemente in declino in Inghilterra, soprattutto presso i giovanissimi, l’interesse per il cantante solista. Per affermarsi, i Beatles non esitarono ad adottare le fogge più pittoresche e una mimica quanto mai accattivante. Essi avevano e hanno tuttora il dono di un ritmo istintivo, inconfondibile. Hanno dato a moltissimi giovani il pretesto per scatenarsi, rompendo pregiudizi e veti di costume”. Questa è la verità, e ci sembra che Little Tony l’abbia espressa benissimo. Un’altra notazione molto utile, e anche sottile, si deve a un camerata di Little Tony, Nico Fidenco: “I Beatles sono i ragazzi della via Paal. Cioè, prima di essere dei cantanti, sono quattro amici che fanno vita comune: tutte cose che ai giovani piacciono immensamente”. Perfetto, perfetto. Ci pare proprio che, fortificati dai pareri dei signori Ciacci e Fidenco, possiamo stimare risolto il problema della prosperità finanziaria dei Beatles e del delirio di milioni di adolescenti per i quattro ragazzi di Liverpool. Soddisfatta la nostra sete di conoscenza, è ormai nostro privilegio accantonare l’argomento, ignorarlo per sempre, occuparci d’altro, ritrovare la pace, mandare al diavolo Ringo Starr». [C.L. Cds 28/6/1965]
Secondo giorno dei Beatles a Roma
Secondo giorno dei Beatles a Roma. Per evitare che il teatro Adriano resti semivuoto come il primo giorno, l’impresario riduce i prezzi dei biglietti da settemila a duemila lire. Durante l’esibizione serale, scene di isterismo collettivo: «Ecco una sedicenne che pare morsa dalla tarantola e si rigira come una trottola mugolando dalla bocca semiaperta; quattro giovinette tutte e quattro con un’uguale frangetta di capelli sugli occhi che si nascondono a vicenda il volto sul petto della compagna; una biondina che geme e piange a fontanella, le spalle scosse dai singhiozzi; quattro ragazzi in canottiera che acutissimamente strillando si fanno ciascuno una maschera di una grande immagine fotografica di George, di John, di Paul e di Ringo. E abbiamo levato gli occhi ai palchi e alle gallerie da cui la gazzarra di fischi, di urla, di battimani, di boati scendeva a valanga; i palchi eran tutti un’esplosione di bocche vocianti e di braccia protese; ad un palchetto vicino al proscenio due tredicenni che fin dal principio avevo visto partecipare allo spettacolo movendo continuamente le teste come pendoli assidui, una bruna paffuta e scarmigliata, una biondina con gli occhiali e una chioma cavallina, erano al parossismo, sghignazzavano, cantavano in coro, invocavano, balzavano su di scatto col rischio di tombolare in platea, ricadevano giù affrante ma non dome. Vidi portar fuori un giovinetto e due o tre ragazze svenute, i coetanei che li sorreggevano continuavano tuttavia ad urlare; le grida, il coro disordinato, i battimani relegavano la musica degli strumenti a un sottofondo, le chitarre, la batteria, gli amplificatori elettronici dei suoni riuscivano soltanto a dare un’idea dell’ossatura sonora. Ma questi fanatici conoscono a memoria i dischi dei Beatles, gli bastava il titolo annunciato per riviverne la passione, Baby’s in black, Rock’n roll, I wanna be your man, gli bastava vedere sul palcoscenico in carne e ossa i loro dei, i padrini provvisori e tirannici dei loro animi primitivi». [Paolo Monelli, Sta.29/6/1965]
Dopo l’ultima canzone il silenzio assoluto
Gli ultimi dieci minuti Paul fa capire che è ora di smettere, che vogliono andare a letto, inclinando la faccia verso destra sulle mani giunte. Poi annuncia in italiano «l’ultima canzone». «Subito dopo l’ultima nota i Beatles raccolsero in fretta i loro strumenti e uscirono di corsa dalla scena. (...) Appena dileguato via l’ultimo “beatle”, oscurata subito la scena, gravò sul teatro un enorme silenzio; non un grido, non un’invocazione, solo il fruscio assiduo della folla che si avviava all’uscita. Le isteriche fanciulle di un attimo prima, i giovanetti fino allora snodati come burattini in cento contorcimenti erano tornati immediatamente esseri normali; anzi peggio che esseri normali, automi a cui si è fermata la carica, svuotati improvvisamente di vita. A pensarci bene, questa brusca chiusura mi è parsa naturalissima. I duemila adolescenti erano accorsi al teatro non tanto come spettatori quanto come attori essi stessi; la presenza dei Beatles era stata poco più che un pretesto e un lievito alla loro scalmanata esibizione; e finito lo spettacolo se la scapolavano anch’essi in silenzio per la più breve». [Paolo Monelli, Sta.29/6/1965]
Più che scarafaggi sembrano preti
«Ma perché li chiamano scarafaggi? La parola che designa lo scarafaggio in inglese si pronunzia più o meno come “beatle”, ma si scrive in un altro modo, “beetle”, e agli scarafaggi non richiama certo il loro aspetto, a parte la pettinatura che è stata più volte di moda presso i nobili giovinetti d’Europa nei secoli scorsi; con la giacchetta nera abbottonata in alto e i pantaloni neri stretti e la cravatta nera lunga hanno piuttosto un’aria clericale: di “clergymen” agitati da un improvviso delirio va bene, ma qualche cosa di simile a quello che agitava una setta di protestanti inglesi della metà del secolo XVIII che si chiamavano “The shakers”, i tremolanti; perché avevano un culto fatto di canti e di danze che li portava a poco a poco ad agitare le estremità e poi tutto il corpo, pensando così di entrare in comunione con i santi spiriti». [Paolo Monelli, Sta. 29/6/1965]
(a cura di Roberta Mercuri)

































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