giovedì 6 giugno 2013

Lo sbarco e la vittoria sull’Urss

Lo sbarco e la vittoria sull’Urss

L'epopea dell'Apollo 11, dalla promessa di John Kennedy fino alla storica frase di Neil Armstrong

MILANO - Una notte del 1969 arrivò dalla Luna una voce umana. Parlava a fatica, con lunghi respiri. E diceva: «E’ un piccolo passo per l'uomo, ma un gigantesco balzo per l'umanità». Con queste parole Neil Armstrong lasciava traccia nella storia, un momento dopo aver messo piede sulla Luna. Era il primo uomo a raggiungere un altro corpo celeste, il più vicino a noi, la Luna appunto, satellite naturale della Terra. Accadeva nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969. Milioni di persone nei cinque continenti seguivano in diretta sugli schermi Tv quelle immagini indistinte in bianco e nero che arrivavano dallo spazio. E in silenzio, nella notte estiva, si osservava quel piede di Armstrong che lentamente scendeva sulla superficie selenica.
LA PRIMA PASSEGGIATA - Ormai non c'era più il timore che affondasse nelle sabbie impalpabili: le sonde Surveyor, allunate in precedenza, avevano dimostrato che il pericolo non esisteva. Ma le reazioni dell'organismo umano alla ridotta gravità non erano ben conosciute, soprattutto per calibrare i movimenti nella maniera giusta, senza cadere in errore. Così, Armstrong ed Edwin Aldrin, che lo seguì poco dopo, si muovevano piano, con estrema lentezza, controllando i loro gesti. Rimasero a camminare nella zona dello sbarco, il Mare dellaTranquillità, per 2 ore e 31 minuti, sistemando sulla superficie 67 kg di strumenti, tra cui un rilevatore di movimenti sismici, un riflettore laser e un foglio alluminizzato per intrappolare campioni di vento solare. Poi raccolsero 21,4 kg di pietre e terriccio, che sigillarono in una luccicante valigia d'alluminio. Erano tutti campioni di superficie profondi al massimo 18 cm, ma erano i primi reperti geologici che l'uomo prelevava con le sue mani da un altro corpo celeste. Mentre li sceglievano, descrivevano al centro di controllo di Houston, in Texas, le loro caratteristiche e illustravano anche il panorama in bianco e nero che avevano intorno, le luci nette, le ombre buie.
LA TELEFONATA DI NIXON - Da Washington li chiamava il presidente Richard Nixon. «Neil e Buzz, vi parlo per telefono dalla stanza ovale della Casa Bianca e questa è certamente la telefonata più storica che sia mai stata fatta. [...] Grazie per quello che avete fatto, i cieli sono diventati una parte del mondo dell'uomo. [...] Per questo momento di valore inestimabile nell'intera storia dell'uomo tutti i popoli della Terra sono veramente uniti: uniti nel loro orgoglio per ciò che avete compiuto e uniti nella preghiera perché possiate tornare sani e salvi fra noi». E il Papa Paolo VI, da Castelgandolfo, li seguiva dalla televisione e aggiungeva: «Gioiamo per la grande vittoria, ma non idolatriamo gli stru¬menti dell'uomo».
LA MISSIONE APOLLO 11 - Arrivare lassù non era stato facile per i primi due uomini. Erano partiti da Cape Canaveral il 16 luglio, un mercoledì, quando in Florida erano le 8.32 del mattino (le 15.32 in Italia). Erano chiusi nella capsula alla sommità del grande razzo Saturno-5 realizzato da Wernher von Braun e la loro spedizione era stata battezzata Apollo 11. L'astronave che li ospitava per il viaggio era chiamata Columbia e Aquila, invece, il modulo agganciato anteriormente con il quale sarebbero sbarcati poco più a sud dell'Equatore lunare. Insieme con Armstrong e Aldrin c'era anche Michael Collins, che come pilota di Columbia sarebbe rimasto a orbitare intorno alla Luna mentre i suoi compagni scendevano per l'esplorazione. La traversata durò 3 giorni e tutto funzionò regolarmente. Il computer, realizzato dal Mit di Boston, guidava la navicella, ma ogni tanto gli astronauti dovevano controllare la posizione con il sestante di bordo, puntando le stelle. E quando compivano questo gesto, anche se rivestiti delle tute bianche d'astronauta, tornavano a essere antichi navigatori.
SCOMPARSI PER MEZZ'ORA - Sabato 19 luglio, quando in Italia era sera, l'Apollo 11 arrivò intorno alla Luna e scomparve dietro a essa. Era un mo mento delicato perché proprio allora doveva essere acceso il motore di servizio per 6 minuti, in modo da frenare la corsa e inserirsi in orbita lunare. Tutto avveniva mentre l'astronave non poteva comunicare con la Terra e quando mezz'ora più tardi uscì dal silenzio radio, a Houston tirarono un sospiro di sollievo: l'astronave ruotava correttamente intorno alla Luna.
L'ALLUNAGGIO - Trascorreva una giornata e alle 19.47 (ora italiana) di domenica 20 luglio il Lem-Aquila (Lunar Excursion Module) con a bordo Armstrong e Aldrin, si staccava dal modulo di comando Columbia. Due ore più tardi iniziò la discesa che non pose pro¬blemi finché il Lem non si trovò in vicinanza del suolo. A quel punto, il fiume di dati raccolto dagli strumenti andò a saturare il computer di guida, dando segni di squilibrio. Armstrong assumeva allora il governo del modulo, guidandolo manualmente, anche per evitare delle impreviste asperità del suolo. E finalmente annunciava: «Qui base della Tranquillità, l'Aquila è atterrata». Il viaggio era durato 102 ore, 45 minuti e 42 secondi.
IL PRIMO PASSO - Dopo la tensione per gli imprevisti che avevano accelerato il ritmo cardiaco dei due esploratori, il clima nel piccolo abitacolo tornava normale. Si controllavano i sistemi: tutto era in ordine, non restava che scendere. Indossate le ingombranti tute che garantivano la sopravvivenza fornendo ossigeno e proteggendo gli organismi, oltre che dagli sbalzi termici di un centinaio di gradi sopra e sotto lo zero, anche dalla pioggia di radiazioni mortali emesse dal Sole e non filtrate dall'atmosfera, Armstrong apriva il portellone, scendendo sulle sabbie seleniche. Quando imprimeva la sua impronta sinistra in Italia erano le 4.56 di lunedì 21 luglio: notte fonda, ma tutti erano incollati al televisore per vedere in diretta lo storico passo. La notte era serena e così ogni tanto si usciva a guardarla, la Luna, luminosa in cielo, per la prima volta abitata. Eravamo giovani e che entusiasmo! Camminando, i due astronauti si allontanarono di una sessantina di metri dal Lem, piantarono una bandiera americana e posero una targa dorata posta su una delle gambe del «ragno lunare». Su di essa c'era scritto: «Qui, uomini giunti dal pianeta Terra, primi posarono il piede sulla Luna. Luglio 1969»
IL RITORNO - Che sulla Luna potesse esistere qualche microrganismo sconosciuto nessuno era disposto a crederlo; tuttavia, era meglio essere prudenti e così, dopo essere «ammarati» di ritorno dalla Luna, saliti sulla nave, i tre entravano in fretta in una roulotte metallica che li avrebbe ospitati e isolati fino a Houston, dove avrebbero trascorso una quarantena separati da ogni contatto umano, se non quello degli specialisti medici. In seguito si capirà che il provvedimento non era necessario e, finita la clausura, per l'eroico terzetto si aprivano le porte dei festeggiamenti intorno al mondo e, soprattutto, quelle della storia. Come Colombo aveva messo piede per primo nel Nuovo Mondo, Armstrong e Aldrin, coetanei (38 anni), sarebbero rimasti i primi a mettere piede sulla Luna: Armstrong, nato il 5 agosto 1930, era biondo con gli occhi azzurri ed era un pilota collaudatore civile; Aldrin, nato il 20 gennaio 1930, era colonnello dell'Usaf, l'aviazione militare, come Collins nato il 31 ottobre 1930. Tutti e tre avevano già volato nello spazio sulle capsule biposto Gemini. Il viaggio dell'Apollo 11 era una promessa mantenuta. L'aveva fatta il presidente Kennedy il 25 maggio 1961 ai suoi cittadini a¬mericani davanti alle sessioni riunite del Congresso, sostenendo che «la nazione deve porsi e raggiungere l'obiettivo prima della conclusione di questa decade di far atterrare un uomo sulla Luna e di farlo tornare salvo sulla Terra». E questo sarebbe stato l'unico modo per dimostrare al mondo che gli Stati Uniti erano tornati a essere una potenza superiore, soprattutto rispetto all'Unione Sovietica che era stata capace di mandare in orbita il primo satellite artificiale nel 1957 e poi anche il primo uomo Juri Gagarin.
Giovanni Caprara
13 luglio 2009

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