venerdì 12 luglio 2013

Mimmo Parisi: 'Tweetta... che una cazzata da dire ce l'hai!'



Mimmo Parisi, ‘Tweetta!… che una cazzata da dire ce l'hai!’

Mimmo Parisi




Il cantautore bolognese si racconta in questa intervista, seduto al tavolo di un bar del centro-Bologna con all’orizzonte la stupenda visione di San Petronio



Mimmo Parisi, singer and guitar player
 

Da qualche tempo gira qualcuno in più nella canzone d’autore italiana. Jeans, T shirt e chitarra potrebbe essere la sua icona. Potremmo pensarlo, nello spirito, una sorta di Bob Dylan italiano. Il cantautore ha dimostrato con le sue canzoni ricche di melodia, che l’hard rock ha mille facce e una se l’è conquistata lui.

Mimmo, come hai iniziato a cantare?
Con i miei compagni di classe. Mia padre, specialmente in estate all’aria aperta, cantava con delle tonsille spacca orecchie, così per imitazione anch’io cominciai a farmi sentire dal circondario. Un giorno un amico più grande di noi ragazzini di scuola media, che ci aveva visto suonare al in alcune occasioni, ci propose di esibirci in alcune discoteche. Così iniziammo. Avevo 15 anni.
Qual era il vostro repertorio?
Classici rock: Speed King, Spirit In The Sky, Proud Mary, Have You Ever Sing the Rain e tante dei Beatles, Battisti ecc. Ci offrirono perfino un contratto (si fa per dire…) per lavorare fissi in un posto che all’epoca era molto frequentato dai ragazzi in cerca di movimento.  
A quale età, secondo te, ci si stufa di scrivere canzoni?
Penso mai. Voglio dire, non è che io scriva canzoni perché debba timbrare il cartellino. Scrivere un brano, qualcosa, un romanzo o quello che vuoi significa dire la tua. Quindi non è che uno si possa stufare di avere pareri o no? Poi  in termini di potenza vocale, io personalmente ad esempio, canto meglio di prima. Sono un hardrockantautore, anzi sono Mimmo Parisi l’hardrockantautore (dice ridendo), con lo stesso spirito ribelle che lo accompagna sin da quando si è affacciato al mondo della musica.
Perchè continui a protestare coi tuoi testi?


Perché ho necessità di avere stima e rispetto di me stesso. Se li perdessi, non potrei fare le canzoni che faccio, risulterebbero finte.
Tu che vivi a Bologna, come la trovi oggi?
Sono uno dei tanti artisti di questa magnifica città. Certo una volta, negli anni 80 e 90 era ancora più vitale da un punto di vista artistico. Deve essere questa maledetta crisi che si fa sentire anche nell’aspetto culturale. Io, però, che ho vissuto anche a Milano molto tempo fa, in questo luogo sento un’energia unica. Per me è la città più bella del mondo.
In passato hanno cercato di metterti sotto qualche bandiera?
Anni fa, una sera, sceso dal palco capii che avevo la patente di cantautore. L’intellighenzia culturale rappresentata dal mio piccolo gruppo di ascoltatori che mi seguiva mi aveva accettato come ‘inventore di testi e musiche’: continuai a fare concerti con la mia band e tranquillamente mi dedicavo con passione esagerata alla parte testuale e musicale, nonché gli arrangiamenti, delle mie canzoni. Ma tu volevi sapere se avessi preso delle tessere. No, niente. Ero simpatizzante di sinistra ma nient’altro. Volevo fare rock, protestare contro i luoghi comuni e i falsi buoni sentimenti. Ero un ragazzo della società povera: volevo provocare e ironizzare.

Vuoi farlo ancora oggi?
Ci provo. La canzone “Arrendetevi Siete Circondati” è dedicata a chi non smette di urlare la propria disperazione, prima o poi i sopraffattori si arrenderanno. Ho fede in questo.

C’è qualcosa che non ti è andato giù in questi anni?
Mi dispiace solo che la musica sia (purtroppo più o meno è così, salvo casi particolari), solo un business dove tutti quelli che contano vogliono ‘lanciare’  solo gente come Massimo Ranieri, Raf, Ramazzotti, Ligabue… Non sto scherzando, voglio dire non gente brava come Raf o Ligabue ma proprio Raf e Ligabue! Vogliono tutto pronto. Quando ti presenti a questa tipologia di talent-scout ti chiedono che seguito hai, quanti dischi hai venduto: mi viene da ridere. Sarebbe come andare dal panettiere per comprare del pane e quello ti chiede di portargli la farina e il lievito! Nessuno vuol rischiare un penny.
Nella tua ultima canzone “Tweetta” canti del potere che i media hanno sulla gente, visto che il protagonista prega la compagna scappata via di tweettargli qualsiasi cosa.. perfino la condizione meteorologica dell’Uruguay che, per quanto sia una bellissima nazione, non annovera universalmente tra le sue attrazioni l’aspetto meteo!



 Esatto. Ho scritto questa canzone provocatoria pensando a come siamo messi tutti quanti. Siamo alla completa mercè di questi macchinini che ci rubano la linfa energetica della giornata con tutte le possibilità di connessione che offrono. La gente ormai si sente tutelata da questi strumenti, io invece la vedo perseguitata. Comunque è una canzone-gioco dove abbandono per un attimo o per chissà quanto tempo (ci sto pensando seriamente a virare verso un genere non molto diverso, ma diverso) il mio abituale abito di hardrockantautore per essere solo un semplice cantautore con qualche venatura leggera di rock.
Descriviti con tre parole.
Critico, romantico, il tutto in chiave hardrock.

Adriano Fanti, testo.
Giovanna Alessi, selezione immagini.




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